Marta Pagnini, ex ginnasta fiorentina classe 1991, è stata la capitana della squadra nazionale di ginnastica ritmica dal 2013 al suo ritiro, avvenuto dopo le Olimpiadi di Rio nel 2016.
Commentatrice tecnica e giudice internazionale, sui social parla spesso della scoliosi, problematica che la affligge da quando era piccola. A sei anni dal suo libro Fai tutto bene, abbiamo ripercorso insieme a lei alcune tappe della sua carriera, partendo dalla fine.
Terminata la tua carriera da ginnasta hai lavorato con la squadra nazionale slovena, hai fatto il corso per diventare giudice e ora sei commentatrice tecnica. Com’è cambiata la tua prospettiva sulla disciplina, se è cambiata?
La mia prospettiva sulla ritmica è cambiata tantissimo. Quando ero atleta sembrava che fosse tutto sulle nostre spalle, cosa che invece non è, le responsabilità vengono più condivise.
Anche la pretesa, lo sforzo e l’impegno, adesso li vedo da un’altra prospettiva e credo che ci debba essere un buon compromesso tra felicità, salute e risultato sportivo.
Quanto è stata importante per te la Russia? Cosa ti ha lasciato, tanto da fartici tornare per un nuovo inizio, quello da giudice?
Il corso l’ho fatto in Russia perché dovevamo dividerci come giudici tra le varie località. Poiché conoscevo già la lingua hanno deciso di mandare me insieme ad un’altra giudice, di madrelingua russa.
Per me la Russia è stata fondamentale non soltanto come località dove ho svolto numerosi stage e gare, ma anche per le persone e la cultura che ho incontrato, che hanno condizionato molto la mia crescita. Interfacciarmi con una cultura diversa dalla nostra in giovane età, imparandone la lingua, gli usi, i costumi, mi ha portato una ricchezza dal valore inestimabile di cui ora mi rendo più conto rispetto a prima.
A volte da piccola vedevo la cultura russa come pretenziosa, con regole molto rigide. In realtà lì mi sono sempre trovata accolta, ho trovato un clima bello anche tra le ginnaste, quindi per me è stata una scoperta positiva.
Nel libro hai parlato dell’esperienza del bronzo di Londra 2012 come contrastante perché le tue compagne non erano contente dell’esercizio eseguito. Oggi se ti guardi indietro cosa ti è rimasto di quella esperienza?
Le mie compagne arrivavano dal quarto posto di Pechino e quindi volevano riscattarsi a tutti i costi; anche noi nuove eravamo lì con loro per un riscatto dell’Italia. Lo è stato comunque perché c’è stata una medaglia, ma scivolare all’ultimo da un argento a un bronzo ha lasciato un po’ di amaro in bocca.
Diverso è stato il mio caso, per me era la prima esperienza olimpica; io ero contentissima e ho ritrovato subito l’entusiasmo. Se guardo indietro per me Londra è stata un’olimpiade bellissima, arrivata in un momento felice della mia vita quindi ho ricordi magnifici di Londra.
Hai raccontato anche del tuo rapporto con le allenatrici, sia quelle che ti hanno arricchito che quelle che ti hanno lasciato delle cicatrici. Hai detto anche di aver sofferto molto in alcuni periodi della tua vita da ginnasta, anche a causa delle pressioni subite.
Quanto tempo ti è servito per elaborare queste ferite e quanto è stato importante l’apporto psicologico in questo?
Per me il supporto psicologico è stato determinante e fondamentale. Mi sono accorta di aver bisogno di aiuto tardi e ho intrapreso la strada della psicoterapia in autonomia, perché ai tempi non avevamo una figura di supporto all’interno della nazionale. Dopo gli allenamenti prendevo la mia macchina e andavo da sola dalla psicologa e questo mi ha aiutato tantissimo.
Elena, che è la psicologa che mi ha seguito, mi ha davvero dato conforto perché alla fine è il parlare che serve, quando sei un’atleta hai bisogno di confrontarti anche esternamente. Grazie alla terapia ho scoperto anche me stessa: senza questo percorso ci avrei impiegato molto più tempo.
Per elaborare le ferite di cui parlo mi ci è voluto tanto, più che altro per rendermi conto che erano delle ferite perché – secondo me – quando sei piccolo e cresci in un determinato ambiente, dai per scontato e non ti accorgi di molte cose che ti accadono, tendi a normalizzarle. Adeso che ho più di trent’anni e un figlio mi rendo conto che molte cose vanno ripensate, rivissute anche attraverso la terapia per capire che impatto hanno nella vita di oggi e di conseguenza fare un lavoro su questo.
Hai scritto che se pensi a Marta pensi alla scoliosi e che essa ha forgiato il tuo carattere, ma nonostante le difficoltà oggettive che può creare in un regime serrato di allenamenti quale può essere quello della nazionale, non ti sentivi in diritto di lamentarti.
Oggi la pensi ancora così? O, anche in base alla tua esperienza da allenatrice, pensi che sia possibile adattare gli allenamenti per ginnaste che presentano difficoltà fisiche oggettive?
Ai miei tempi c’erano altri metodi, altri tipi di allenamenti, dannosi a prescindere dalla scoliosi e quindi ho dovuto, purtroppo, eseguire una serie di esercizi che probabilmente hanno ancora di più infastidito il mio fisico.
Oggi credo che ci sia una diversa attenzione verso il corpo dell’atleta. Da esterna mi fa molto piacere e sono convinta che anche chi ha una scoliosi, di qualsiasi grado essa sia, sia più in grado di gestire la sua preparazione in modo tale da arrivare nelle condizioni migliori alle gare.
Il codice di adesso, inoltre, tiene conto di tante problematiche e tende a salvaguardare la ginnasta in tanti aspetti: sono stati eliminati tanti elementi anche per questo motivo. Si sta innalzando anche l’età agonistica, le ginnaste sono più longeve e tutto questo ci fa capire come anche le regole, in questo senso, cambiano.
Quanto è stato fondamentale l’apporto della tua famiglia, nei momenti belli e brutti della tua carriera?
La mia famiglia ha giocato un ruolo chiave. I miei genitori, pur non essendo degli sportivi a loro volta, mi hanno sempre supportata. Ho sempre avuto il loro pieno appoggio, la loro comprensione.
Quando si sta lontani da casa e si vive in un ambiente completamente diverso da quello che si trova a casa, è anche difficile pensare di far vivere alle famiglie tutto quello che vivi tu quotidianamente, nel bene e nel male. Coi miei ho sempre avuto un buon dialogo e senza il loro supporto non sarei qui: mi hanno sempre spinta a fare del mio meglio rispettando sempre me stessa. Su questo sono stati un esempio fondamentale.