Diversi giorni fa è uscita la notizia che la Federazione Svizzera di Ginnastica ha emesso un provvedimento che vieta ai fotografi di scattare fotografie delle atlete dove è visibile la parte inguinale del corpo, il che implica che tantissimi movimenti e salti ginnici non potranno più essere fotografati.
Dopo averne parlato qui, la redazione di Ginnasticando ha ritenuto importante dare voce alle ginnaste sul tema della sessualizzazione nello sport e l’efficacia, in tale senso, di quanto previsto dalla Federazione Svizzera, poiché interessate in prima persona da tale provvedimento.
Secondo Costanza Luisoni – Teamgym, “ le pose ginniche, qualunque esse siano, sono gesti tecnici che è giusto valorizzare nelle foto. […] Le foto sono uno strumento per fissare il gesto tecnico dello sport e come tale non penso sia giusto che venga limitato.” La pensano allo stesso modo anche le ginnaste Paganelli, Giampieri e Bullo, per la quale esse “evidenziano la bellezza dei gesti atletici e ginnici in ogni loro espressione”

Giorgia Giampieri – Trampolino, ribadisce l’importanza delle fotografie che “immortalano emozioni e momenti artistici che per una ginnasta sono molto importanti” e ti permettono “sia di avere ricordi, sia di rivedere le esecuzioni nei dettagli e capire anche cosa c’è da migliorare.”
Sono quindi uno strumento utile alle atlete che guardandole possono rivivere un momento fondamentale della loro attività agonistica, ritrovarvi motivazione o tristezza, gioia o energia positiva.

Pertanto “In uno sport come la ginnastica, in tutte le sue discipline e forme, pensare di “proteggere le ginnaste” proibendo di ritrarle in determinate pose, è da considerarsi vicino al bannare lo sport stesso. Nel mio caso”, ha dichiarato la ginnasta Martina Paganelli – Artistica “negare “quel tipo di foto” corrisponde all’oscurare la vera e propria artisticità che rende unica la ginnastica artistica, tanto per la femminile quanto per la maschile.
Pensare di non poter ritrarre una ginnasta che esegue un enjambeé con la massima ampiezza, oltre i 180°, che è invece considerata la miglior espressione di quel gesto tecnico, annulla in buona parte quella che è la vera essenza di questo sport.”

Anche Giampieri si sofferma su una questione omessa dalla Federazione Svizzera, ovvero la sessualizzazione dei ginnasti, non contemplati nel provvedimento emesso: secondo la trampolinista italiana lo stesso discorso “potrebbe valere per la ginnastica maschile: credo la situazione sia la stessa, ad esempio le foto a petto nudo, ma nessuno nella maschile dice nulla a riguardo.”
In un tema delicato come quello della sessualizzazione dei corpi delle atlete, innanzitutto per Luisoni “l’importante è sentirsi a proprio agio nel fare ginnastica e nel gareggiare. Penso che il primo passo sia la libertà delle ginnaste di scegliere se indossare un body sgambato o meno, a seconda di come ognuna si sente meglio.“.
Paganelli poi, estende il discorso al di là dello sport: “Il retro-pensiero che tutte queste persone elaborano (vedendo le fotografie, n.d.r), è e rimane un problema di questi ultimi, non solo nella ginnastica, ma anche negli aspetti della vita reale.“
Ma allora cosa si può fare per evitare la sessualizzazione delle ginnaste (poiché di esse parla il regolamento svizzero)?
La ginnasta di Aerobica Anna Bullo pensa che “il problema grave stia in chi vede volgarità in questo gesto ginnico anziché apprezzare la bravura del fotografo nel cogliere il momento giusto e dell’atleta che esegue l’elemento. La tutela delle atlete e di noi donne in genere dovrebbe andare oltre il divieto di uno scatto fotografico. Mi sembra di interpretare che, come accade spesso, la vittima diventa ‘colpevole’.
Se questo però bastasse a tutelare davvero le atlete ben venga il divieto.”

Certo è che, su questo sono tutte d’accordo, questa decisione non risolverà il problema della sessualizzazione femminile nello sport perché, per usare le parole di Giampieri “la malizia sta nelle persone che guardano la foto e fanno determinati pensieri“.
Insomma, per riprendere un famosissimo murales, possiamo lasciarci con questa domanda: è giusto continuare a perpetrare l’idea di “proteggere le donne” o è ora di iniziare a “educare gli uomini”?