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Scattare meno foto per combattere la sessualizzazione nello sport è la soluzione giusta?

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In tutti gli sport della Ginnastica sul campo gara atleti e atlete sono sottoposti a una stretta osservazione. Piedi tirati, mani che coreografano movimenti minuziosi, schiena dritta, muscoli in tensione.

La giuria non è l’unica spettatrice delle loro performance: a guardarli esprimere attraverso i loro corpi uno sport di movimenti che sfidano la legge di gravità si uniscono le telecamere, i fotografi e il pubblico. E, a volte, l’occhio di chi guarda potrebbe fare tutta la differenza del caso.

LA SESSUALIZZAZIONE NELLO SPORT

Negli ultimi anni tantissimi sport, inclusa la Ginnastica, hanno dovuto far fronte al tema della sessualizzazione. Questo fenomeno conferisce ai corpi delle atlete (ma nella Ginnastica possiamo includere anche quelli degli atleti, allo stesso modo “esposti”) delle connotazioni legate a istinti sessuali che poco centrano con le capacità sportive in oggetto.

Qualsiasi particolare potrebbe essere sessualizzato: il body di una ginnasta o il pantaloncino di un ginnasta che aderisce al corpo, piuttosto che un elemento dove sono in mostra i glutei o la zona dell’inguine. Caratteristiche che sono considerate la normalità nell’ambiente sportivo e agonistico vengono stravolte e trasformate per uno scopo che non gli appartiene.

Questo fenomeno è accresciuto non solo dai commenti inopportuni sui social, ma anche da contributi televisivi e cinematografici che hanno alimentato un vero e proprio problema a livello sociale. Combatterlo è uno degli obiettivi che lo sport sta cercando di raggiungere negli ultimi anni. Si è passati dalle battaglie per indossare indumenti più pratici e comodi per l’attività sportiva durante gli anni 80, a quelle per coprire i corpi al fine di evitarne la sessualizzazione di Tokyo 2020. E, pur essendo agli antipodi, entrambe sono state battaglie divisive, dove a rimetterci non è stato altro che l’atleta.

Un nuovo provvedimento in questo senso che ha fatto non poco discutere negli scorsi giorni sarebbe una sorta di codice etico che la Federazione svizzera di Ginnastica ha diramato. Al fine di prevenire la sessualizzazione dei corpi femminili nella ginnastica, i fotografi – e presumibilmente anche i cameramen – non potranno diffondere foto (o video) in cui le ginnaste hanno pose definite “eticamente sensibili”. Nel documento sono elencate nel dettaglio le angolazioni nelle quali è consentito riprendere le ginnaste, ma in linea generale le foto e i video dove l’inguine è in mostra saranno vietati. Pena il ritiro dell’accredito e l’esclusione dai campi gara.

LA FIGURA DEL FOTOGRAFO NELLO SPORT – Lo scopo di chi immortala un evento sportivo, ha spiegato la fotografa della nostra testata Federica Salvatelli, è quello di catturare la perfezione del movimento eseguito da un atleta, calibrando i requisiti fotografici con quelli tecnici sportivi. Raccontare lo sport per un fotografo o una fotografa è questione di un click. È un attimo nel quale tutto si allinea: il movimento è ben eseguito, la posizione del corpo corretta, l’elevazione ottimale, la luce giusta. E più in uno sport il corpo è protagonista, più il compito è difficile.

Seguendo la politica del buonsenso, vengono scartati scatti dove il volto del soggetto è ritratto in espressioni improbabili, quelli in cui un elemento non è immortalato nel modo giusto, oppure scatti che ritraggono gli attimi di un infortunio grave. Chi ha la giusta sensibilità evita anche suo malgrado di diffondere foto che potrebbero mettere a disagio chi con il proprio corpo sta scrivendo la propria storia e quella del suo sport: l’atleta.

Allora è giusto chiedersi, buonsenso a parte, qual è il modo giusto per raccontare la Ginnastica. Pensiamo al giro Raffaeli; immortalarlo in modo che l’inguine non sia nell’inquadratura renderebbe l’idea della complessità di questo elemento? Sarebbe lo stesso per una ruota senza mani alla trave, al corpo libero per un enjambèe o una verticale, o per un salto Tkatchev alle parallele o alla sbarra?

Evitare di ritrarre ginnasti e ginnaste intenti a compiere determinati movimenti potrebbe anche proteggerli dalle cattive intenzioni, ma non ne sminuisce il lavoro che fanno da sportivi?

Mostrare una buona divaricata in alcuni elementi, mettere le gambe a 180° gradi durante i giri e gli enjambèe, avere una rondata della giusta ampiezza (solo per fare degli esempi) significa mostrare professionalità. Una professionalità che con questa norma viene censurata – e purtroppo non è un abuso del termine.
Chi mastica un po’ di ginnastica sa bene cosa sia uno Stalder, mentre chi non l’ha mai visto penserà che si tratti di uno strano giro attorno allo staggio; per chi vuole vedere ciò che non esiste in quel movimento, invece, non c’è angolazione che tenga. Impedire ai fans di vedere coi propri occhi il lavoro della loro beniamina, quello sì che potrebbe limitarla, soprattutto in piena era social dove nulla fa più presa sul pubblico che fotografie e video.

In definitiva, un esercizio resta un esercizio, ed evitare di raccontarlo o mostrarlo solo perché alcuni potrebbero sessualizzarlo è una strada pericolosa da intraprendere. Implica che sia colui o colei che viene oggettificato a doversi in qualche modo difendere, non chi oggettifica quando non dovrebbe in un contesto assolutamente neutro come lo sport.

Prevenire il fenomeno della sessualizzazione usando la politica del voltare l’obiettivo dall’altra parte non affronta il cuore del problema, che è qualcosa di più grande della Federazione Svizzera, della Ginnastica e dello sport. Ha radici ben radicate nella società stessa e, in questo specifico caso, sta solo nell’occhio di chi guarda.

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Mariacarmela Brunetti
Nata e cresciuta nel magico Sannio, la mia seconda casa da anni è Roma, dove sto per conseguire una laurea in Ingegneria. Faccio parte di GINNASTICANDO.it dal 2015 e attualmente sono Vicedirettrice, oltre che Editorialista e Redattrice per la Ginnastica Artistica.
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