È ormai dalla fine di ottobre che testimonianze di abusi fisici e psicologici perpetrati ai danni di atlete ed ex-atlete scuotono il mondo della Ginnastica italiana. Quella venuta a galla è una situazione costellata da tante zone d’ombra, che per essere portate alla luce avranno bisogno di lavoro costante da parte delle autorità competenti e di mesi, probabilmente anni di indagini.
Al fianco delle atlete e degli atleti, però, ci sono anche associazioni esterne agli organismi federali come ChangeTheGame.
ChangeTheGame è un’associazione di volontari e volontarie nata per contrastare la violenza emotiva, fisica e sessuale all’interno del contesto sportivo, racconta ai nostri microfoni Daniela Simonetti, giornalista e saggista nonché Fondatrice e Presidentessa di Change The Game. È nata nel 2017 come movimento e nel 2018 come associazione. Siamo regolarmente iscritti al Runts (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) e il nostro statuto è pubblico, così come tutte le attività che svogliamo.
La vostra associazione raccoglie testimonianze di abusi provenienti da tutti i settori dello sport. Avevate già ricevuto in passato delle segnalazioni appartenenti al mondo della ginnastica?
Sì, negli anni scorsi ci sono state delle testimonianze, ma non in questa misura e, di certo, non con questa frequenza. La prima risale a due anni fa, ma la persona interessata ha preferito non denunciare. Il suo è stato un colloquio privato che è rimasto tale.
Quando arrivano delle testimonianze qual è il percorso che seguite?
Abbiamo dei protocolli interni che mettiamo scrupolosamente in atto. Tutto inizia da un modulo di contatto pubblico sul sito e un numero di centralino, entrambi attivi ventiquattro ore su ventiquattro. Quando la persona ci contatta partono i colloqui, si raccoglie la sua testimonianza e poi si decide insieme come agire, e se agire. C’è chi sceglie di non intraprendere vie legali, chi invece sì. Noi offriamo non solo un aiuto legale gratuito, ma anche sostegno terapeutico e psicologico alle vittime.
Secondo lei perché è così difficile denunciare gli abusi subiti nel mondo dello sport?
Innanzitutto è importante sottolineare che le mancate denunce non sono un problema solo italiano. Un’indagine europea ha messo a confronto un largo campione di testimonianze raccogliendo un dato interessante: solo la minima parte di atleti e atlete che ha subito violenze denuncia. Si tratta di una percentuale che si aggira tra il 2 e il 4%.
Il report di cui parla Simonetti è stato finanziato dal programma Erasmus + dell’Unione Europea ed è chiamato “Cases: General Report”. Si tratta di uno studio condotto da sei atenei del vecchio continente che ha coinvolto un campione di più di 10mila persone con lo scopo di analizzare le violenze ai danni dei minori sia all’interno che all’esterno del mondo dello sport.
Le motivazioni alla base di questo comportamento sono ipotesi, continua la Presidentessa di Change The Game, ma ne azzardo alcune in base ai dati che ho raccolto in questi anni sul campo. Quello sportivo è un mondo chiuso, che non perdona determinate esternazioni, comprese quelle che derivano dai disagi causati dalle violenze. È un mondo in cui si tende a “lavare i panni sporchi in famiglia”. Chi vuole continuare l’attività sportiva è inibito alla denuncia perché il clima cambia e la percezione anche. Basti pensare che la Fifa, in un report condotto alla fine del 2021, ha parlato esplicitamente di ritorsioni nei confronti di sportivi e sportive che hanno denunciato.
Si può trovare un punto comune tra le testimonianze italiane e quelle arrivate in Canada, Olanda, Inghilterra e tanti altri paesi?
Non posso parlare di ciò che non conosco. Però posso dire che, come indicato dal Consiglio d’Europa, lo sport ha delle caratteristiche che rende i propri ambienti predisposti ad alcuni tipi di violenza. Questo avviene perché l’atleta si attacca molto alla figura dell’allenatore, tanto che cerca in tutti i modi di compiacerlo. I suoi sogni passano attraverso questa figura, che acquisisce una straordinaria importanza nella vita di chi pratica sport. Si capisce bene che se da parte della figura dell’allenatore non c’è un rigore di base è facile sconfinare e perpetrare comportamenti abusanti. È per questo che si trovano situazioni analoghe in molti paesi, perché il comune denominatore è costituito proprio dall’ambiente sportivo. A maggior ragione, però, siccome sappiamo che esiste questa predisposizione dobbiamo contrastarla sul nascere in modo da prevenire i comportamenti abusanti.
Essendo la Ginnastica uno sport praticato ad alti livelli soprattutto in età precoce, quando questi abusi avvengono le atlete (e gli atleti) si accorgono di quanto accade?
La giovane età di chi la pratica costituisce un evidente punto di debolezza nella Ginnastica. Più un bimbo o una bimba è piccola, più sono efficaci sistemi manipolatori capaci di carpirne il silenzio. Il primo passo è mettere distanza tra i minori e la famiglia, ed è più facile che avvenga per chi viene affidato a strutture sportive e vive lontano da casa. In questa circostanza c’è terreno fertile per la manipolazione perché se si subiscono abusi si tende ad accettarli come comportamenti normali e razionali. E se la violenza viene normalizzata non la si riconosce più come tale. Diventa quasi una routine. Una routine terribile nella quale è difficile capire che si sta subendo un abuso. In un contesto del genere minori e adolescenti faticano a distinguere quello che è lecito e quello che non è lecito, o quando la disciplina deborda nell’abuso vero e proprio. Pertanto è fondamentale per queste strutture che chi è in alto nella scala gerarchica abbia contezza di cosa avviene al loro interno. Il fatto è che molti di questi luoghi mancano di trasparenza, e quando manca la trasparenza è più facile che ci siano comportamenti abusanti perché facilmente occultabili. Laddove le porte si chiudono bisogna iniziare a capire cosa accade al loro interno. Aprire quelle porte, portare la luce è il primo passo per affrontare i problemi.
Che ruolo giocano i genitori in questo frangente?
Quando una bambina o una ragazza subisce degli abusi praticando attività sportiva, la parte offesa è proprio la famiglia. Molto spesso le atlete si ritrovano sole in un ambiente estraneo e con la consegna del silenzio, ed è per questo che per i genitori non è facile capire ciò che accade. Da quella che è la mia esperienza, nel mondo della Ginnastica ho visto che molti genitori hanno prontamente denunciato. Forse parlare delle risposte che quei genitori hanno avuto sarebbe più corretto, anziché attribuire loro responsabilità che non hanno. Io credo che, invece, la responsabilità di scovare comportamenti abusanti sia della comunità sportiva, che ha dimenticato di essere comunità educante al pari della scuola. In base a una sentenza straordinaria della Corte di Cassazione, infatti, gli allenatori sono equiparati a maestri e professori della scuola dell’obbligo. Dunque sono a tutti gli effetti degli educatori. La vera domanda è: in quanto educatori hanno effettivamente svolto questo ruolo con dedizione, passione e rettitudine? Hanno educato chi gli è stato affidato in maniera adeguata?
La Ginnastica è uno sport che ha bisogno di una disciplina rigorosa, anche nel controllo del benessere fisico. Ma qual è il confine tra disciplina e violenza?
Innanzitutto il concetto di disciplina non è definito. E, siccome non è codificato, esso tende a essere soggetto a libere interpretazioni, non sempre valide. Il primo concetto da seguire sarebbe quello di non incappare in reati, e molti dei casi che sono alla ribalta delle cronache ipotizzano proprio dei reati. Il maltrattamento, ad esempio, non è disciplina, è reato, così come lo sono gli abusi di carattere psicofisico e la violenza privata.
Per quanto riguarda, invece, della tutela del fisico, le circa 150 testimonianze che abbiamo raccolto convergono tutte su questo aspetto: anche il fisico viene sfruttato in maniera non conforme sotto lo stendardo di una disciplina né accettata, né riconosciuta. Ci sono alcune testimonianze di atlete che hanno gareggiato sotto effetto di analgesici con fratture o con infortuni in corso. Questa non è disciplina, è violenza fisica, violenza emotiva. Almeno finora, l’unico tipo di violenza non denunciata nel mondo della Ginnastica in Italia è stata quella sessuale.
Secondo lei è importante che come per gli infortuni si abbiano a disposizione le figure del fisioterapista e del medico, si debbano avere anche quelle dello psicologo e del nutrizionista?
Io farei un discorso più a monte. È ovvio che sia positivo aggiungere figure professionali specializzate, ma per frenare il fenomeno dovremmo iniziare a individuare dei percorsi di formazione obbligatoria e continuativa (persino semestrale) per i Tecnici. E, alla luce delle accuse che sono state fatte, io ipotizzerei persino dei test psicoattitudinali per gli istruttori. I Tecnici sono dei professionisti e devono comportarsi come tali, conseguendo una formazione adeguata e continuativa anche su queste tematiche. Io credo che, laddove c’è un livello adeguato di professionismo e formazione, il fenomeno può essere attenuato in partenza.
A seguito delle oltre 150 testimonianze ricevute quali sono i prossimi passi che ha intenzione di muovere Change The Game?
Noi come organizzazione proponiamo un pacchetto di proposte. È nostra intenzione pubblicare un report sul modello del Whyte Review britannico con tutte le testimonianze a noi pervenute, che ovviamente resteranno anonime per il pubblico. Abbiamo anche avanzato una serie di proposte per la giustizia sportiva che, ad oggi, non hanno avuto riscontro. Abbiamo chiesto di costituire una commissione d’inchiesta esterna e indipendente dalla Federazione per l’accertamento delle responsabilità. Se questa richiesta non dovesse essere accolta ci attiveremo per costituire noi stessi questo tipo di organismo. Cercheremo di fare delle valutazioni oggettive caso per caso, mandando alle Federazioni coinvolte le nostre conclusioni, che renderemo anche pubbliche. La trasparenza, il rendere pubblico gli esiti di queste indagini per noi sono la base di tutto. Per ristabilire la giustizia c’è bisogno di imparzialità, equità, equilibrio e tanta professionalità e credo che la giustizia sportiva, anche per assenza di competenze specifiche, non possa rispondere in maniera adeguata. Avere un’entità esterna che abbia come unico interesse quello di sradicare una volta per tutte queste problematiche è il primo passo da fare. Fin quando gli enti di giustizia sportiva saranno di nomina politica ci saranno sempre ombre e dubbi sulla trasparenza del loro operato.