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Comunicazione e Ginnastica: MN GAF di Roberto Mauri

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Di Massimo Contaldo, Team Manager GAF

La qualità di movimento dipende anche dalla frequenza e dalla durata negli anni: in Italia siamo ben lontani da una “vita attiva”, dal momento che la pratica dello sport ha generalmente una durata breve, oppure una intensità troppo blanda rispetto agli standard minimi indicati dalla OMS.

In genere, oggi, più dell’ 80% dei ragazzi si avvicina allo sport prima dei 18 anni, ma i fenomeni di abbandono iniziano ad essere consistenti intorno agli 8/9 anni, cosicchè il tasso di partecipazione inizia a decrescere già dai 13/14 anni. Andrebbe citato anche l’abbandono periodico dovuto ai periodi estivi, quando molte occasioni educative vengono meno.

E’ evidente che occorre approfondire le caratteristiche di tali fenomeni per orientare in modo positivo le attività formative, gli atteggiamenti degli educatori, il contesto scolastico, sportivo, familiare.

Accanto agli squilibri territoriali Nord-Sud, tradizionali nel nostro paese, va senz’altro data attenzione alla situazione delle aree metropolitane, in cui vive malamente la “folla solitaria”.

Alcuni fenomeni di disagio e di frammentazione dei rapporti sociali potrebbero trovare un’antidoto nell’esperienza sportiva.

Un’ aspetto particolare del disagio è la difficoltà a confrontarsi con le regole della vita organizzata. 

Ci sono molti e differenti aspetti di inclusione sociale che potrebbero giovarsi del rapporto tra educazione e sport , ivi inclusa quella particolare esperienza di partecipazione che matura nell’organizzazione (e non solo nel praticare) le attività sportive.

Una spinta associativa e solidaristica – che non contraddica la competizione ma si intrecci con essa, come avviene nelle società sportive – è una molla preziosa di crescita civile . Lo sviluppo di un atteggiamento partecipativo dei cittadini nei confronti dei processi decisionali della società: ecco un’altra sfida attuale per gli educatori. 

L’IMPORTANZA DEL TECNICO

L’allenatore oggi si deve saper districare in una complessità di relazioni: deve potersi raccordare con i singoli atleti, ma anche con la squadra e con le dinamiche che da essa scaturiscono. Deve rapportasi con i genitori e con i rappresentanti della propria associazione di riferimento, da cui deriveranno le aspettative e le finalità del proprio lavoro.

Ogni allenatore avrà la sua storia personale e inevitabilmente questo influirà sul suo modo e sul suo stile di insegnamento. Possiamo grosso modo individuare tre  stili emotivi dominanti, il primo è caratterizzato dalla proiezione, che consiste nel trasferire sugli atleti aspetti negativi di sé, magari vissuti da bambino; in questo caso l’allenatore sottolinea sempre gli atteggiamenti negativi, non riesce a premiare e a motivare, mortifica e svilisce. Spesso diventa autoritario e viene vissuto come nemico. Il secondo è caratterizzato dalla compensazione, quando cioè  l’adulto si aspetta di essere riconosciuto ed amato dai ragazzi/e; questo può innescare dinamiche di preferenze all’interno del gruppo creando conflitti nelle squadre. Il terzo è caratterizzato da un rapporto empatico, cioè  c’è una capacità di immedesimarsi nei bisogni e nei desideri dei giovani atleti mantenendo la capacità di aiutarli: questo è l’allenatore che crea affiatamento nelle squadre e che gli atleti sentono come un forte punto di riferimento. E’ per soli fini didattici che gli stili sono stati presentati come “puri”, nella realtà spesso si trovano commisti tra loro.

Un tema importante ma che possiamo solo toccare è quello del rapporto con i genitori. In generale le aspettative dei genitori sono più forti che nel passato, in primo luogo perché spesso il figlio è anche un figlio unico e in secondo luogo perché siamo in una società dove sembra che tutto sia possibile per tutti. 

Possiamo anche qui provare a identificare delle diverse aspettative. Una è sicuramente l’aspettativa di successo, che si traduce in una spinta esasperata alla competizione e al conseguimento di risultati, un’altra è l’aspettativa che l’attività sportiva diventi un momento di sfogo e di contenimento del figlio troppo esuberante, cosicché l’attività sportiva diventa il luogo privilegiato dove il ragazzo potrà imparare a rispettare le regole di convivenza civile che a casa non si riescono a insegnare (delega educativa). Ci può anche essere la consapevolezza da parte dei genitori di avere un figlio impacciato e il conseguente desiderio che lo sport debba in qualche modo riscattare questa deficienza. Da ultimo lo sport può anche essere visto come una chance per compensare l’insuccesso scolastico. 

Come si può vedere anche in questo ambito il ventaglio si amplia e ai fini della gestione dei rapporti con i genitori è necessario tenere presenti queste riflessioni. 

Possiamo anche delineare delle tipologie di genitori: quello assente che delega completamente, quello collaborativo che diventa risorsa e quello invadente che va governato. Importante è comunque ricordare che il genitore è la figura che si fa carico della frustrazione del proprio figlio e che con lui bisogna saper intrattenere relazioni di collaborazione, sempre nel rispetto dei ruoli. 

Per tutte le cose dette sopra, sarebbe necessario offrire agli educatori sportivi una formazione specifica che li aiuti in questo compito determinante.

In conclusione:  abbiamo visto che per sostenere l’azione positiva dello sport bisogna conoscere e riconoscere i bisogni che sottendono all’azione sportiva, conoscere le tappe evolutive e le dinamiche di gruppo e conoscere tecniche e modalità per un comunicazione efficace.

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Michele Forzinetti
Varese, Laurea in SM, Istruttore Federale e Ufficiale di Gara GAF - preparazione fisica e atletica con atleti di élite: aerobica, arrampicata, arti marziali, acrobatica. L I F E I S A B A L A N C E
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