Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Di unire la gente. Parla una lingua che tutti capiscono. Lo sport può creare la speranza laddove prima c’era solo disperazione.

(Nelson Mandela)
Di pochi giorni fa è la decisione della FIG di escludere atleti, allenatori ed ufficiali di gara Russi e Bielorussi (nonostante la non entrata in guerra del paese guidato da Lukashenko) da ogni competizione internazionale in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.
E fa subito eco e non poche polemiche la scelta della “Z” sul body di Ivan Kuliak, e chiedersi il perchè della Z rappresentante l’esercito Russo sul petto da parte di un ragazzino prima di iniziare ad indignarsi, alla recente cerimonia di premiazioni della Coppa del Mondo per attrezzi di Doha.
Se da una parte, la decisione di Putin di invasione dell’Ucraina in seguito alle richieste sui territori delle repubbliche del Donbass e dell’ucraina orientale su influenza NATO, ha portato al momento storico che stiamo vivendo con l’assedio di Kiev e l’esodo di più di un milione e mezzo di Ucraini.
Era quanto più logico pensare che tali decisioni politiche avrebbero avuto riverberi sugli equilibri geopolitici, di asset economico e sociale a livello mondiale, ma di quanto sta accadendo sulla pedane e nelle competizioni sportive, questo forse no.
Dalla storia impariamo che non impariamo nulla dalla storia.
Hegel
Settimana scorsa la decisione da parte della FIG di estromettere da ogni competizione internazionale atleti, allenatori e ufficiali di gara, ecco quanto si apprende dalla nota ufficiale:
The EC took into account the latest recommendations from the International Olympic Committee (IOC), the stance of the FIG Athletes’ Commission and the deep concerns and positions expressed by many national Gymnastics federations, and decided that:
- Russian and Belarusian athletes and officials, including judges, are not allowed to take part in FIG competitions or FIG-sanctioned competitions from 7 March 2022 until further notice.
Primariamente a seguito di questo conflitto stiamo vedendo l’inasprirsi di sanzione a logica più personale che logica, di persone di nazionalità Russa o vicine, seppur in senso più dialettico che reale, della nazione guidata da Putin.
Analizzando il ‘900 sono rarissimi i casi di veto per atleti, intellettuali ed appartenenti ad una nazionalità specifica in seguito ad un conflitto dichiarato dalla madre padre, del loro isolamento nella vita pubblica, economica e sportiva.

Lo sport ha sempre motivato umori ideologici, e negli anni della prima metà del secolo XXI si è visto portavoce dei loro diktat – basti pensare a Primo Carnera, Campione del Mondo dei pesi massimi di pugilato e innalzato a bandiera del fascismo e ritratto vestito e col saluto balilla come eroe dell’egida di Mussolini.
Oppure al 16 ottobre 1968, quando nello stadio Olimpico di Città del Messico i velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos durante la premiazione dei 200m innalzarono il pugno guastato di nero, per protestare per il clima di repressione e della lotta per i diritti umani degli afroamericani nell’America del Vietnam e del clima maccartista di quegli anni.

Per ricordare invece i boicottaggi a decisione unanime dei comitati nazionali, da parte di una federazione nazionale ai giochi olimpici:
- – 2022 da parte del comitato olimpico USA, riguardante il personale diplomatico e non gli atleti, in reazione alle violazioni dei diritti umani commesse dalla Cina ai danni dell’etnia uigura.
- – 1964 al 1992 è stata vietata la partecipazione del Sudafrica alle Olimpiadi per la politica di apartheid.
- – 1980 alle Olimpiadi di Mosca, in protesta per l’invasione sovietica dell’Afghanistan del dicembre 1979.
- – 1984 Olimpiadi di Los Angeles da parte di Bulgaria, la Repubblica Democratica Tedesca, la Mongolia, il Vietnam, il Laos e la Cecoslovacchia.
- – 2014 alle Olimpiadi invernali di Sochi, il presidente Barack Obama e il vicepresidente Joe Biden rinunciarono al viaggio in Russia per protestare contro la linea del Cremlino nei confronti dei diritti degli omosessuali.
Pierre de Coubertin scrive nelle sue Memorie: “La guerra creò uno stato di cose che rischiava di mettere in pericolo l’essenza stessa dell’istituzione olimpica”.
Ma il legame tra sport e politica è talmente stretto che sarebbe inutile e fuorviante cercare di dividere le due sfere, quando l’eroe sportivo e la performance vengo eletti a rappresentazione della supremazia di una nazione – ma benchè ciò possa rifarsi ai tempi ellenici delle prime olimpiadi antiche, nella storia moderna, ovvero dalla fine del 1800, l’agone dovrebbe risolversi sul campo di scontro (sportivo).
Sanzionare gli appartenenti ad una nazione perché di essa appartenenti, non vede logica, seppure nel non troppo recente passato, ovvero non vi sono casi di divieto a competizioni ad essi appartenti.
La Corea del Nord, nonostante le sue moltiplici mancanze sul tema dei diritti umani non ha visto mai un’esclusione dei suoi atleti da competizioni internazionali, ne tantomeno Israele per la guerra decennali che ved il protrarsi con la Palestina; ne gli stessi USA, che protagonisti nell’intero secondo novecento di aggressioni a svariati Stati, non hanno mai veduto l’esclusione di suoi atleti da competizioni sportive.
Se una bilancia ed una misura devono essere applicate, che almeno sia neutra ed imparziale l’unità di misura, agli occhi della Storia vi paghi il vero colpevole, e non i suoi aventi cittadinanza, come gli atleti russi e bielorussi, che alle decisioni di guerra del Cremlino vi sono più che estranei.
E che usando la misura della democrazia, che vengano sanzionati per le decisioni intrapersonali dei leader più che quelle garantiste, come i sentimenti di aggressione degli Usa nel conflitto medio-orientale degli anni ’00\’10 e del conflitto Israele Palestinese, che cada vacua questa decisione del Federazione Internazionale nei confronti di atleti e ufficiali, che nonostante la maggior parte si siano schierati a favore della pace in Ucraina, siano stati esclusi da ogni competizione per cui loro hanno lavorato una vita.
Il rischio è quello di ricadere nel modus di privazione e censura, come ad opera degli stessi stati da noi sanzionati.