È sempre più chiaro che nel mondo di oggi le arti visuali rappresentano una parte fondamentale della quotidianità delle persone, tanto che si tende a immedesimarsi di più in un dramma quando si è di fronte alla storia romanzata rispetto che all’avvenimento reale a cui essa si ispira. E, probabilmente, è questo quello che sta accadendo dopo l’uscita del documentario “Athlete A” su Netflix che racconta di quello che è passato alla cronaca come il “caso Nassar”.

GLI ABUSI- Non tutti l’avevano intuito ai tempi del processo, alla fine del 2017, ma con il documentario è diventato chiaro che le denunce delle atlete non si sono limitate agli abusi sessuali di Nassar, già di per sé gravissime ma, anzi, sono andate oltre e hanno coinvolto la stessa Federazione americana, intere palestre, collegiali nazionali molto prestigiosi, allenatori. Le testimonianze erano ripetute e sempre uguali: accuse di abusi sessuali insabbiate, abusi psicologici (e, a volte, anche abusi fisici) divenuti consuetudine.
Attorno alle nazioni che arrivano al successo ripetutamente e in modo schiacciante rispetto alle squadre avversarie, si crea un alone di magia che è davvero difficile scalfire e lo spettatore molto spesso non si fa domande su quale sia il reale percorso che un atleta deve compiere per salire sul tetto del mondo, per diventare il migliore.
La realtà è che la ginnastica è uno sport giovane, fatto da atlete e atleti che vengono messi nelle mani di allenatori, società, Federazioni che dovrebbero tutelarli, prendersi cura di loro. Il caso UsaGym ha dimostrato che non sempre gli interessi degli atleti vengono tutelati anzi, molto spesso la catena delle denunce non è ben disposta nei confronti di chi gli abusi li segnala.
LE VOCI- Storicamente la ginnastica è stata attorniata da quelle che si possono definire “voci” riguardo a ciò che realmente è accaduto e accade in alcune palestre sparse per il mondo. Sono trapelate voci su comportamenti abbastanza scorretti nei confronti delle atlete russe, voci sulle scuole di ginnastica cinesi, ancora prima, voci su ciò che accadeva nelle palestre della scuola rumena.
Il passato resta nel passato ma oggi il tempo di subire nell’ombra e restare in silenzio è finito e, come da una scintilla nasce un fuoco, quel fuoco che si è acceso negli Stati Uniti ha incendiato il mondo intero. Atlete ed ex atlete di tutto il mondo della ginnastica hanno rotto il silenzio in questo strano 2020 mostrando al mondo una realtà sconcertante:
gli abusi nel mondo della ginnastica, in particolare sulle donne, esistono e sono così radicati nella società da essere considerati normali.
Un meccanismo facile e semplice per plasmare giovani menti per un unico bene superiore: la vittoria.
LE ACCUSE
IL CASO MAGGIE HANEY (USA)– A maggio grazie alle testimonianze dell’olimpionica di Rio 2016 Laurie Hernandez, di Riley McCusker e di altre atlete, l’allenatrice Maggie Haney viene sospesa per otto anni con l’accusa di aver abusato verbalmente e psicologicamente delle atlete sotto la sua protezione. La Haney non potrà più allenare durante questi otto, lunghi anni e non potrà nemmeno presenziare alle gare organizzate da Usa Gymnastics, al fine di evitare qualsiasi contatto con le atlete vittime dei suoi abusi. Dalle testimonianze delle vittime è emersa una realtà agghiacciante sulla gestione degli allenamenti della Haney, che abitualmente urlava contro le proprie atlete in palestra, le umiliava per il loro peso, per aver commesso errori durante gli esercizi, per i loro crolli emotivi. A volte, le ha anche costrette a rimuovere i tutori prima del tempo e senza alcun consulto medico pur di farle partecipare alle gare.

LE TESTIMONIANZE ITALIANE– Pochi giorni dopo la notizia della condanna della Haney rompe il silenzio Eleonora Rando, dichiarando in un post su Facebook “avrei potuto scrivere io quelle parole. Tristemente mi ci sono immedesimata e rispecchiata. So cosa si prova a sentirsi dire certe cose.” La Rando non ha sporto alcuna denuncia formale ma ha portato alla luce che gli abusi sono stati e, probabilmente sono ancora, chiusi dietro le porte di molte palestre, nascosti dalle luci dei riflettori, taciuti perché chi dovrebbe parlare tende a chiudersi in se stesso.
Alle dichiarazioni di Eleonora sono seguite anche quelle di Sophia Campana e Carlotta Ferlito.
Sophia Campana ha pubblicato un video su Youtube nel quale dice di aver subito degli abusi psicologici durante la sua carriera da ginnasta in Italia.
Carlotta Ferlito su Instagram ha dichiarato di essersi scontrata con quelli che lei ha definito veri e propri abusi di potere. Trovate la sua testimonianza nelle storie in evidenza “Athlete A” del suo account Instagram.
Ad oggi tutte e tre le dichiarazioni delle ginnaste italiane sono informali, non è stato fornito nessun nominativo e non è stata avviata nessuna indagine ufficiale.
BRITISH GYM E LA “CULTURA DELLA PAURA”– La BBC ha prodotto un documentario che segue la scia di “Athete A”, intervistando numerose ex atlete di Ginnastica Artistica e Ritmica britanniche. La testimonianza delle atlete è toccante e le accuse sono davvero molto gravi, tanto gravi da indurre British Gymnastics ad avviare un’indagine indipendente. Quella che la BBC ha definito “cultura della paura” consiste in abusi psicologici riguardanti soprattutto il bodyshaming, abusi che hanno indotto molte ragazze a ricadere nella trappola dei disturbi alimentari per restare nei canoni di peso richiesi dagli allenatori. Le ragazze intervistate hanno parlato di ripetuti controlli e umiliazioni nelle giornate passate in palestra, quando chi veniva sorpreso a mangiare fuori pasto era poi punito con allenamenti extra.
Nicole Pavier, ex atleta di Ginnastica Ritmica, ha dichiarato di avere sofferto di bulimia a partire dall’età di 14 anni a causa degli atteggiamenti ossessivi dei suoi allenatori e di subire ancora oggi gli strascichi di questi comportamenti distruttivi. Le sorelle Downie, Ellie e Becky, hanno rilasciato sul proprio Instagram delle dichiarazioni che confermano tutte le accuse riguardo al regime imposto per l’alimentazione, ma c’è di più. Becky denuncia di essere stata allenata fino ad avere più e più crolli fisici, che sono poi sfociati in fratture da stress.
NATALIIA GODUNKO– Per la ritmica rompe il silenzio l’ucraina Godunko, la quale in un toccante post su Facebook parla dei numerosi abusi psicologici che ha subito durante la sua carriera da ginnasta, a partire dall’età di 11 per finire all’età di 26 anni. “Siamo state abusate durante tutta la nostra carriera. Pensate sia normale? Pensate sia cambiato qualcosa? Una persona negli Stati Uniti è stata processata per questo. Gli abusi psicologici sono alla stessa stregua di quelli sessuali. Dovrebbero essere punibili per legge ma sfortunatamente non nel nostro paese.“
IL CASO WEVERS– Poche settimane fa la Federazione Olandese ha deciso di sospendere gli allenamenti per le ginnaste di rilievo nazionale e di avviare un’indagine su larga scala grazie alle testimonianze di numerose ex atlete di interesse nazionale. Tutto è iniziato dall’intervista rilasciata a un emittente televisiva olandese dell’ex ginnasta Joe Goedkoop, la quale ha dichiarato di essere stata più volte picchiata e umiliata dai propri allenatori durante la sua permanenza al centro federale di Oldenzaal. Nell’occhio del ciclone sono quindi finiti Gerrit Beltman, Gerber Weirsma e Vincent Wevers, quest’ultimo è allenatore e padre della medaglia d’oro olimpica alla trave Sanne Wevers. Lei, insieme alla sorella Lieke e ad altre atlete della squadra nazionale, hanno rilasciato un comunicato in cui dichiarano di essersi sempre allenate in un clima di serenità e di non essere mai state vittime degli abusi denunciati dalla GoedKoop.
Tuttavia anche Wyomi Masela rompe il silenzio e accusa Vincent Wevers in prima persona di aver abusato psicologicamente di lei, ponendo un’eccessiva attenzione sul suo fisico, tanto da arrivare a farla pesare fino a quattro volte al giorno. A peggiorare la situazione arriva l’ammenda da parte dell’allenatore Gerrit Beltman che chiede scusa e ammette di aver abusato psicologicamente, umiliato e picchiato le proprie atlete.
HUMAN RIGHTS WATCH IN GIAPPONE E IN AUSTRALIA– Negli ultimi giorni è stata pubblicata un’indagine svolta dall’organizzazione internazionale non governativa Human Rights Watch che ha interrogato più di 800 minori appartenenti a tutti i settori dello sport giapponese, compresa la ginnastica, e il risultato dell’indagine è che buona parte di loro ha sofferto e soffre di abusi sessuali, fisici e psicologici. La Human Rights Watch ha annunciato il 30 luglio di voler intraprendere un’indagine simile in Australia, a seguito delle segnalazioni di alcune atlete di spicco della ginnastica australiana che hanno dichiarato di aver subito abusi psicologici e di essere state costrette ad allenarsi nonostante gli infortuni.
NUOVA ZELANDA- In Nuova Zelanda la Federazione di Ginnastica neozelandese ha avviato delle indagini a seguito delle segnalazioni di alcune atlete rimaste nell’anonimato, tra le quali è poi trapelato il nome di Olivia Jobsis, le quali hanno denunciato di essere state vittime di abusi psicologici, tra cui bodyshaming, essere state forzate a competere nonostante gli infortuni, essere punite per non aver superato le qualifiche in gare importanti.
Una realtà del genere non può non aprire gli occhi e svegliare le coscienze. Appare chiaro e lampante che, nonostante si parli di paesi diversi, di culture diverse, di metodi diversi, le accuse che hanno fatto il giro del mondo della ginnastica sono sempre le stesse. Dalle numerose testimonianze che si susseguono emerge che nei ragazzi e nelle ragazze molto giovani, gli abusi hanno conseguenze devastanti, i cui strascichi influenzeranno per sempre la vita di coloro che li hanno subiti. E, dunque, una domanda sorge spontanea.
Se è davvero questo il prezzo da pagare per il successo, in fin dei conti ne vale la pena?